Quando si vota un partito o un movimento politico, o una coalizione che si candida al governo del Paese, si sceglie in base ad un programma ed alla credibilità che riconosciamo ai candidati – primo fra tutti il candidato premier – nell’attuare questi impegni.
Durante la prima repubblica, quando cioè le alleanze ed i primi ministri si materializzavano dopo, spesso indipendentemente dal volere degli elettori, ed il programma di governo era un rituale parlamentare a cui nessuno prestava ascolto, gli impegni contavano meno. Oggi sono tutto.
E’ un salto salutare di democrazia, nato sostanzialmente dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi nel 1994, ma al quale hanno poi contribuito e partecipato sia il centrodestra sia il centrosinistra.
Le decisioni prese ieri dall’ufficio di presidenza del Popolo della Libertà, ed il richiamo di Berlusconi, vanno esattamente in questa direzione.
E cioè:
· attuare il programma di governo;
· rispettare gli impegni presi in campagna elettorale;
· tra questi impegni c’è quello di garantire la governabilità e la guida di palazzo Chigi affidata (dagli elettori) a Berlusconi;
· prendere le decisioni interne a maggioranza;
· rendere conto di queste decisioni sempre e comunque agli elettori;
· la dialettica interna è quella che consente che si discuta, in modo chiaro e trasparente all’esterno, ma che poi si decida;
· chi non rispetta queste elementari regole di democrazia non può far parte del Popolo della Libertà.
Ricapitolando: non sono in discussione la libertà di confrontarsi sulle varie questioni. E’ però doveroso che, una volta deciso, il Pdl si muova in maniera univoca, e non con una doppia o tripla linea.
Ancora: non è messa in dubbio la facoltà e il diritto di esprimersi su argomenti che richiedono la libertà di coscienza. Il Pdl, più di ogni altra forza politica, ha sempre garantito questa forma liberale di scegliere, anche in Parlamento. Ciò che non può essere accettato è invece il venire meno agli impegni assunti con gli elettori, o il lanciare in modo estemporaneo temi e proposte che non hanno nulla a che fare con il programma di governo, anche quello votato dagli elettori.
Diversamente ricadremmo nei vecchi riti che indebolirono e minarono la credibilità della prima repubblica, e infine la resero più vulnerabile di fronte alle indagini a senso unico dei pm.
Da questo punto di vista, è stato citata la questione del voto agli immigrati. Nulla impedisce che sia argomento di discussione, ma non fa parte del programma di governo. Può certamente essere proposto agli elettori, innovando o modificando il programma stesso: ma allora deve essere deliberato all’interno del Popolo della Libertà, confrontato con gli alleati della coalizione, verificato alla luce delle necessità del Paese. Insomma, tutto deve avvenire alla luce del sole ed in base al principio del rispetto della maggioranza.
Sulla questione in sé, sono tra l’altro evidenti due cose: non si può dare il voto a chi non sia cittadino italiano; non si può dare la cittadinanza a chi non abbia i requisiti giuridici ed economici per ottenerla; esistono inoltre i principi di reciprocità tra Stato e Stato.
Non solo: sulla sicurezza e l’immigrazione il governo ha investito gran parte della propria credibilità lanciando un segnale chiaro nel rispetto dei diritti civili. Un impegno mantenuto, una linea che la popolazione mostra di apprezzare. Vogliamo sconfessare quanto fatto finora, lanciando il segnale inverso?
E’ solo un esempio. Un altro esempio è costituito dal rafforzamento dei poteri del premier a vantaggio non di un singolo, ma della governabilità del Paese. Riforma che ha il suo contrappeso nello snellimento e nella maggiore efficienza dei lavori parlamentari, anche per evitare il ricorso ai decreti.
Tutto ciò era inoltre espresso a chiare lettere nel programma letto e approvato al congresso fondativo del Pdl, al quale tutti hanno dato il loro contributo.
A questi impegni ed a questi vincoli precisi si è richiamato l’ufficio di presidenza del Pdl. Il criterio della maggioranza che decide (e ne risponde) non è una forzatura autoritaria, ma il suo contrario: è la base della democrazia. Non c’è assemblea o organismo di alcun tipo nel quale non si decida a maggioranza.
Lo si fa, per inciso, anche a sinistra: nel Pd a maggioranza è stato appena eletto il nuovo segretario, che ha fissato una linea alla quale anche gran parte della ex minoranza si è adeguata. Chi non ha condiviso – come Francesco Rutelli e altri – ha coerentemente imboccato un altro percorso politico lasciando il Pd. Qualcuno ha menato scandalo? Non ci pare proprio.
Durante la prima repubblica, quando cioè le alleanze ed i primi ministri si materializzavano dopo, spesso indipendentemente dal volere degli elettori, ed il programma di governo era un rituale parlamentare a cui nessuno prestava ascolto, gli impegni contavano meno. Oggi sono tutto.
E’ un salto salutare di democrazia, nato sostanzialmente dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi nel 1994, ma al quale hanno poi contribuito e partecipato sia il centrodestra sia il centrosinistra.
Le decisioni prese ieri dall’ufficio di presidenza del Popolo della Libertà, ed il richiamo di Berlusconi, vanno esattamente in questa direzione.
E cioè:
· attuare il programma di governo;
· rispettare gli impegni presi in campagna elettorale;
· tra questi impegni c’è quello di garantire la governabilità e la guida di palazzo Chigi affidata (dagli elettori) a Berlusconi;
· prendere le decisioni interne a maggioranza;
· rendere conto di queste decisioni sempre e comunque agli elettori;
· la dialettica interna è quella che consente che si discuta, in modo chiaro e trasparente all’esterno, ma che poi si decida;
· chi non rispetta queste elementari regole di democrazia non può far parte del Popolo della Libertà.
Ricapitolando: non sono in discussione la libertà di confrontarsi sulle varie questioni. E’ però doveroso che, una volta deciso, il Pdl si muova in maniera univoca, e non con una doppia o tripla linea.
Ancora: non è messa in dubbio la facoltà e il diritto di esprimersi su argomenti che richiedono la libertà di coscienza. Il Pdl, più di ogni altra forza politica, ha sempre garantito questa forma liberale di scegliere, anche in Parlamento. Ciò che non può essere accettato è invece il venire meno agli impegni assunti con gli elettori, o il lanciare in modo estemporaneo temi e proposte che non hanno nulla a che fare con il programma di governo, anche quello votato dagli elettori.
Diversamente ricadremmo nei vecchi riti che indebolirono e minarono la credibilità della prima repubblica, e infine la resero più vulnerabile di fronte alle indagini a senso unico dei pm.
Da questo punto di vista, è stato citata la questione del voto agli immigrati. Nulla impedisce che sia argomento di discussione, ma non fa parte del programma di governo. Può certamente essere proposto agli elettori, innovando o modificando il programma stesso: ma allora deve essere deliberato all’interno del Popolo della Libertà, confrontato con gli alleati della coalizione, verificato alla luce delle necessità del Paese. Insomma, tutto deve avvenire alla luce del sole ed in base al principio del rispetto della maggioranza.
Sulla questione in sé, sono tra l’altro evidenti due cose: non si può dare il voto a chi non sia cittadino italiano; non si può dare la cittadinanza a chi non abbia i requisiti giuridici ed economici per ottenerla; esistono inoltre i principi di reciprocità tra Stato e Stato.
Non solo: sulla sicurezza e l’immigrazione il governo ha investito gran parte della propria credibilità lanciando un segnale chiaro nel rispetto dei diritti civili. Un impegno mantenuto, una linea che la popolazione mostra di apprezzare. Vogliamo sconfessare quanto fatto finora, lanciando il segnale inverso?
E’ solo un esempio. Un altro esempio è costituito dal rafforzamento dei poteri del premier a vantaggio non di un singolo, ma della governabilità del Paese. Riforma che ha il suo contrappeso nello snellimento e nella maggiore efficienza dei lavori parlamentari, anche per evitare il ricorso ai decreti.
Tutto ciò era inoltre espresso a chiare lettere nel programma letto e approvato al congresso fondativo del Pdl, al quale tutti hanno dato il loro contributo.
A questi impegni ed a questi vincoli precisi si è richiamato l’ufficio di presidenza del Pdl. Il criterio della maggioranza che decide (e ne risponde) non è una forzatura autoritaria, ma il suo contrario: è la base della democrazia. Non c’è assemblea o organismo di alcun tipo nel quale non si decida a maggioranza.
Lo si fa, per inciso, anche a sinistra: nel Pd a maggioranza è stato appena eletto il nuovo segretario, che ha fissato una linea alla quale anche gran parte della ex minoranza si è adeguata. Chi non ha condiviso – come Francesco Rutelli e altri – ha coerentemente imboccato un altro percorso politico lasciando il Pd. Qualcuno ha menato scandalo? Non ci pare proprio.
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