pdl bernalda popolo della libertà bernalda matera pdl bernalda metaponto politica bernalda: 01/09/09 - 01/10/09

mercoledì 30 settembre 2009

RAI : LE SPESE FOLLI A SINISTRA

Mentre continua a divampare la polemica sulla puntata di “Anno Zero”, la sinistra – attraverso i suoi direttori e i suoi giullari – ha organizzato una nuova provocazione nei confronti del centrodestra e del suo leader, Silvio Berlusconi. Da questa sera, sulla terza rete televisiva, andrà in onda infatti una striscia satirica di pochi minuti, all’interno del programma ideato da Serena Dandini, che avrà come “teatro” il bagno del premier in via del Plebiscito e come protagoniste due belle ragazze che si fotograferanno a vicenda con i telefonini mentre si preparano per andare a una festa.
E non è tutto: nel corso del programma il comico Neri Marcorè vestirà i panni dell’avvocato Niccolò Ghedini, legale del Cavaliere, mentre il Trio Medusa approfondirà le “bizzarre notizie” del Tg1 di Augusto Minzolini, come “l’invasione di mucche nei supermercati”. La Dandini e i suoi autori, insomma, schiereranno tutte le forze del programma in un attacco concentrico a Berlusconi e ai suoi ministri, a cominciare dal titolare dell’Istruzione, Mariastella Gemini. Ma la satira a senso unico colpirà anche il direttore di Libero Maurizio Belpietro che, in sintonia con Vittorio Feltri, ha promosso una campagna di disobbedienza civile invitando i propri lettori a non pagare più il canone della Rai. Clima pesante, anche, all’interno della Rai in vista della riunione del Consiglio di Amministrazione fissata per giovedì. Il direttore generale Mauro Masi dovrebbe proporre un nuovo pacchetto di nomine (i prossimi vicedirettori della radiofonia, di alcune testate radiofoniche e del Tg2) mentre nulla ancora si sa sui vertici del Tg3 e della Terza Rete televisiva. È fuori dubbio che la nuova provocazione della Dandini nei confronti di Berlusconi verrà messa in conto a Paolo Ruffini, direttore della rete che da tempo, si dice, dovrebbe abbandonare quella poltrona. Ci sarà, dunque, una accelerazione destinata a rimuovere Ruffini oppure il Pd tenterà ancora di rinviare gli spostamenti a dopo il Congresso di ottobre quando gli equilibri interni al partito saranno più chiari?
Ad accrescere il malumore, infine, il quotidiano Libero che, a latere della campagna contro il canone, ha pubblicato alcune spese della Rai.
Alcuni esempi:
· per ogni puntata di AnnoZero l’Azienda spende 210 mila euro;
· 175 mila per Che tempo che fa?;
· 105 mila per Ballarò.

Michele Santoro ha uno stipendio annuo di 700 mila euro mentre la Dandini percepisce, sempre annualmente, 710 mila euro.
Il più ricco, tra i conduttori, è Fabio Fazio (2 milioni di euro) mentre il più “povero” Giovanni Floris (350 mila euro).

martedì 29 settembre 2009

IMMIGRATI ACCOGLIENZA E LEGALITA'

Il sostanziale via libera del ministro La Russa al presidente della Camera Fini, che dal palco della festa del Pdl ha proposto la riforma della legge sulla cittadinanza, ha ufficialmente aperto il dibattito nel Pdl sul delicato tema dell'immigrazione. Il coordinatore ex An si è detto infatti d’accordo con Fini sul fatto che il tema debba essere affrontato, appunto, "nelle sedi di partito" e sulla necessità di riformare la legge sulla cittadinanza, pensando in particolare alla "generazione Balotelli", cioè ai ragazzi che hanno già compiuto un ciclo scolastico, e che per questo " hanno diritto, se amano l’Italia, di essere italiani".

A fronte di un "percorso agevolatissimo" per i giovani nati in Italia e che hanno compiuto un ciclo scolastico, La Russa resta però rigido sui tempi necessari per gli adulti che vogliano la cittadinanza. E' significativo che Franceschini si sia subito allineato alla proposta dei cinque anni, invocando rispetto per le differenze multietniche e che la Lega, all'opposto, sia subito insorta affermando, con Calderoli, che anticipare la cittadinanza, e quindi il diritto di voto agli immigrati sarebbe un attentato alla democrazia e un esproprio della volontà popolare.

Ora, siccome il problema-immigrati sarà al centro della campagna elettorale nei prossimi mesi in tutte le regioni, sarà meglio maneggiare l'argomento con un po' di prudenza in più le fughe in avanti, come la presentazione di una proposta di legge bipartisan insieme al Pd proprio sull'accorciamento dei tempi per la cittadinanza senza alcun confronto interno al partito rischiano infatti di determinare una situazione di incertezza fra gli elettori moderati. Quale segnale si dà in vista delle regionali? E' giusto coniugare la fermezza con l'accoglienza, ma sconfinare nel buonismo della sinistra su un tema così cruciale rischia di diventare un clamoroso autogol. Non perché non si debba affrontare il problema, ma perché il problema deve essere affrontato all'interno del Pdl, seguendo il principio di maggioranza enunciato da Berlusconi a marzo, durante il congresso fondativo. Senza dimenticare che la cittadinanza agli immigrati non è contemplata nel programma di governo.

Parlare continuamente dell'esigenza di dare una "cittadinanza sociale" soprattutto ai minori nati in Italia rischia di essere un segnale di debolezza nel momento in cui l'elettorato richiede invece fermezza. Anche perché l'esperienza insegna che non è automatica - con la cittadinanza - l'integrazione di ragazzi che vivono in famiglie e in comunità, come quella cinese e gran parte di quella islamica - per non parlare dei rom - che non hanno alcuna intenzione di integrarsi. E non vanno dimenticate le recentissime esperienze di altri Paesi europei come la Gran Bretagna e la Francia.
Insomma, il problema vero è quello di saper coniugare accoglienza e legalità, senza cedimenti buonisti alle sole ragioni degli altri, perché difendere i diritti degli immigrati senza citarne mai i doveri significa intraprendere la strada del dialogo a senso unico che è tipico delle politiche perdenti della sinistra.

Questo mentre il Pdl dovrebbe fare fronte comune nei confronti di quei magistrati che si ritengono liberi di applicare e interpretare le leggi a loro piacimento, riparandosi dietro il paravento della Costituzione, come sta accadendo alle nuove norme sulla sicurezza che prevedono il reato di immigrazione clandestina. Il presidente dell'Anm Palamara ha addirittura teorizzato che i magistrati possano fare un controllo di costituzionalità, sostituendosi alla Consulta, fingendo di ignorare che non applicare una legge dello Stato è un reato, punto e basta.

lunedì 28 settembre 2009

FINI ADESSO ATTACCA I PARTITI

Fini adesso parla male dei partiti "Le Fondazioni sono più democratiche"
di Stefano Filippi da Il Giornale

Alla fine lui è sgommato via dal retro del Palalido seminando i giornalisti mentre il popolo della libertà, quello con la «p» minuscola, non il partito ma la gente che vota centrodestra, imboccava l’uscita principale brontolando. «Chissà dove sarebbe senza Berlusconi». «Non ha mai fatto niente nella vita, adesso ci fa la morale». «Ma cosa vuole questo qui?». Il problema è tutto in quelle due parole, «questo qui». Perché il popolo della libertà sembra imbarazzato perfino a chiamare Gianfranco Fini per nome. Non lo conoscono più.L’ex delfino di Almirante ha abiurato la memoria di Mussolini. L’ex leader del partito «Dio patria e famiglia» predica all’opposto della Chiesa sulla bioetica. L’ex ministro che con Bossi ha dato il nome alla severa legge sull’immigrazione estende la cittadinanza «a tutti quelli che amano l’Italia» e si fa fotografare con una ragazza egiziana velata. Il cofondatore (la primavera scorsa) del Pdl bastona i partiti, «cartelli elettorali, luoghi di propaganda senza democrazia interna». Il politico sdoganato da Berlusconi non spende apprezzamenti per il governo Berlusconi: «Giudicheranno gli italiani». E tuttavia si prepara a manifestare il suo pensiero in un libro (svelato ieri dal Giornale) con la prefazione - si vocifera - di Paolo Mieli, che la Rizzoli prevede diventerà un bestseller, in cui Fini racconterà ai «ragazzi dell’89», la generazione successiva alla caduta del Muro di Berlino, qual è «il futuro della libertà».Il popolo del centrodestra si riversa al Palalido, riempie (per una volta) tutti i posti a sedere per ascoltare il numero 2 del partito, e ti ritrova un signore freddo, che arriva un’ora prima per chiacchierare con La Russa a bordo piscina, assaggia le specialità degli stand gastronomici senza entusiasmo, stringe poche mani mentre sale sul palco e se ne fugge dal retro. Anche lui sembra a disagio tra la sua gente.Ieri mattina era a Torino, dibattito con Massimo D’Alema, ostentatamente «bipartisan» anche nel giorno dell’intervento alla prima Festa della Libertà. Lì ha lanciato l’affondo sui partiti «cartelli elettorali». Ha definito il confronto parlamentare «una sorta di ordalia» (ma al Palalido il pd Enrico Letta gli ha fatto osservare che questa settimana la Camera ha lavorato appena otto ore). E ha detto di preferire le fondazioni, una specie di «riserva della repubblica»: «Una volta c’erano i partiti, ora abbiamo voltato pagina e le fondazioni possono sopperire ad alcune lacune».Nel pomeriggio il presidente della Camera si è materializzato a Milano. E al Palalido, senza mai citare apertamente nessuno degli obiettivi, si è divertito a giocare a freccette con la sua maggioranza. Ha rimproverato il governo per il ritardo nel varare le «urgentissime riforme»: «O si fanno congiuntamente dal sistema Italia o si rischia di non vincere la crisi». Ha infilzato la Lega e la sua proposta di salari differenziati tra Nord e Sud: «Altro che gabbie salariali, bisogna legare gli stipendi alla produttività».Il piatto forte è stata la questione della cittadinanza, rilanciata con forza e anche con la consapevolezza di andare contromano. «L’Italia è degli italiani ma anche di tutti coloro che la amano». Malumore in platea. «La cittadinanza non può essere solo una questione burocratica». Borbottii. «Amare l’Italia significa dimostrare di conoscerne la lingua, la storia, la geografia, giurare fedeltà alla sua Costituzione e, se necessario, servirla con le armi. Bisogna superare veri e propri esami anche 5 o 7 anni dopo aver messo piede sul nostro suolo. Sono un eretico se concedo la cittadinanza a studenti stranieri minorenni? Sono diventato di sinistra? Ho perso la testa?». Sì, urla una signora dal pubblico. Fini insiste: «Qui non ci sono depositari della verità. Dibattere fa soltanto bene e continuerò a porre questioni finché non sentirò argomenti validi. Dire che non c’è nel programma è un argomento risibile».
Fini respinge nervosamente «le scomuniche preventive degli organi di giornale». Quando perfino Letta lo contesta, replica: «Sono abituato a sentirmi dire che sono diventato di sinistra, ma forse è la sinistra che si è spostata a destra». E si irrigidisce quando Giulio Tremonti smonta i suoi ragionamenti, pur definendoli «generosi e coraggiosi»: «L’Olanda sta perdendo la sua identità nazionale. In molte città del Nord Europa la maggioranza non è più quella storica. Chiedete a tedeschi e inglesi i problemi posti dalla terza generazione di immigrati. Discutere pubblicamente di questi scenari è giusto ma al momento opportuno, e una cosa fatta nel tempo sbagliato diventa a sua volta sbagliata». Il popolo della libertà esulta in piedi.In serata anche i luogotenenti (ex?) di Fini mettono un minimo di distanza. Matteoli e Gasparri dicono che le fondazioni non possono prendere il posto dei partiti, mentre La Russa difende il capo ma critica la proposta di legge di Fabio Granata, finiano di stretta osservanza: «Roba da peones». Si dissociano anche Cicchitto e Quagliariello. Fini è isolato. Ma se voleva semplicemente avviare un dibattito, quell’obiettivo è raggiunto.

mercoledì 23 settembre 2009

CASERMA DEI VVFF ! E' TRISTE DIRE "AVEVAMO PREVISTO"


VI RIPROPONIAMO UN APPELLO DENUNCIA FATTA IN EPOCA NON SOSPETTA

FORZAITALIAINFORMA
Coordinamento di Bernalda e Metaponto – 2 dicembre 2007

UN TRISTE DECLINO

In 15 anni di Centrosinistra, questa nostra Città soffre di una pesante crisi d’identità e di valori, che ne sta condizionando il normale sviluppo.
Il conseguente declino culturale, civile e democratico, prima ancora che sociale ed economico, è segnalato da numerosi indicatori, fra cui emblematicamente :
L’affermarsi di mentalità e comportamenti sempre più inclini ad egoismi, faziosità, discriminazioni , affetti da diffidenza, menefreghismo, la gestione della cosa pubblica, spesso settaria e clientelare, arbitraria e prevaricante, ne costituisce un “esempio” eccellente !
Un “ceto politico”, incapace di recepire le vere istanze della comunità, di contemperarle con saggezza ed equilibrio e di indirizzarle verso un comune obiettivo di crescita.
Tali disfunzioni hanno finito per impedire la formazione di una forte coscienza collettiva e di un sano spirito di cooperazione, che, stimolando la partecipazione attiva di tutte le componenti sociali, incoraggiando l’impegno individuale, la libera iniziativa, l’ingegno e l’operosità, in un quadro di consapevolezza e di rispetto dei ruoli, di solidarietà di interessi, di chiarezza di prospettiva e di certezza dei diritti, avrebbero potuto consentire a questa Città di valorizzare appieno le sue potenzialità.

Invece, da oltre un decennio, Essa versa in una condizione d’immobilismo e d’inerzia, avvertita in tutti i campi e i settori di attività, che ne segna il ritardo evolutivo e l’arretratezza socio-economico-culturale, in confronto all’intero contesto territoriale ! .

E’ necessario esaminare ciò che succede intorno a noi:
Pisticci ha rivalutato il suo territorio sulla spinta del turismo; oggi si batte per l’aereoporto. Ha ottenuto il suo porto canale (a nostro discapito). Migliaia di appartamenti e villaggi turistici, nati in questo decennio, a ridosso del mare di San Basilio.
Policoro cresciuto in meno di 20 anni oltre ogni aspettativa ; realizzazione del porto canale Marinagri, centri commerciali di eccellenza, e migliaia di case vacanza, villaggi, ville e alberghi sulla costa.
Marina di Novasiri ormai assunta al rango di cittadina; una frazione trasformatasi con oltre seimila alloggi, alberghi e villaggi turistici.
Scanzano cresciuta esponenzialmente , con un territorio in grado di recepire investimenti da ogni parte.

Il contesto territoriale con cui ci confrontiamo è l’elemento fondante per verificare il nostro triste declino. Bernalda e Metaponto da città di eccellenza in piena espansione, primi a dotarsi di piani urbanistici, volano della nostra economia; del turismo,dell’agricoltura; con il Lido di Metaponto fiore all’occhiello della costa jonica, oggi arrancano e non tengono il passo rispetto al contesto dell’intero metapontino.

Oggi stiamo per perdere anche l’aeroporto a Pisticci Scalo, perdere anche questa speranza , sarebbe un grave danno per il nostro territorio, per il turismo , per l’agricoltura per il rilancio degli insediamenti industriali, ma la voce della amministrazione di Bernalda è colpevolmente assente, impegnata a risolvere crisi interne alla maggioranza, la sinistra radicale in nome di uno pseudoambientalismo, fine a se stesso, sta minando le basi di un civile sviluppo.

Meglio Pontecagnano? Cosa ne pensa Il Sindaco esponente di spicco del PD regionale? Tace!

E ancor oggi non vediamo tentativi di inversione di rotta, ogni timida iniziativa viene paralizzata dal sospetto , dalla poca convinzione e dalla inettitudine. Non riusciamo nemmeno a dar seguito a timide iniziative di edilizia popolare e turistica. I trecento alloggi della discordia ,avversati solo per il sospetto di ipotetiche speculazioni. Le solite minoranze rumorose che impongono la povertà di idee e di prospettiva di sviluppo economico a questa città. I falsimoralisti di oggi e di sempre che sguazzano nella esaltazione del Niente. Solo nel niente possono esistere!

Dov’è il coraggio di un Sindaco? Perchè ancora non toglie la delega assessorile a chi gli rema contro? E dove sono le forti motivazioni degli assessori che gli tolgono la fiducia e poi non si dimettono?

giovedì 17 settembre 2009

DOPO OROGEL ANCHE PFANNER A POLICORO

Herman Pfanner, il grande imprenditore dei succhi di frutta conosciuti a livello internazionale, soprattutto nel nord Europa, sembra abbia intenzione di rilevare il sito dell'ex zuccherificio di Policoro, garantendo un aumento occupazionale di almeno 100 unità lavorative e effettuando un investimento atto ad accorciare la filiera produttiva.
Il Sindaco di Policoro, Lopatriello, che ha incontrato l'impenditore e 3 suoi investitori, avrebbe intenzione di cedere alla Pfanner quei beni comunali da dismettere, che non apportano utili al bilancio e che, quindi, rappresentano un maggior costo per l'amministrazione comunale.
Tali beni dovrebbero però essere periziati in tempi piuttosto brevi dall'Agenzia del territorio di Basilicata attraverso l'Ufficio Tecnico Erariale (UTE), per consentire a questa Azienda leader dei succhi di frutta, di insediarvisi con i macchinari, per procedere, attraverso 3 turni di lavoro, al confezionamento del prodotto alimentare per tutto l'anno.
Una iniziativa pregevole, in questo periodo di magra per l'agricoltura della Basilicata.
L'auspicio è che l'impegno dell'Azienda diventi presto un atto concreto, soprattutto per il risvolto occupazionale ad esso legato.
La cooperativa Arpor del gruppo Orogel Fresco, stanzierà circa 12 milioni di euro per incrementare la produzione nello stabilimento di Policoro, in provincia di Matera. L'operazione si dovrebbe concretizzare entro il prossimo biennio lo ha dichiarato questa mattina il presidente di Orogel Fresco, Giuseppe Maldini nell'incontro con la presidente di Confcooperative Basilicata, Vilma Mazzocco, il presidente della Regione, Vito De Filippo, l'assessore regionale all'Agricoltura, Vincenzo Viti e l'assessore regionale alle Attività produttive, Gennaro Straziuso. "Abbiamo deciso di puntare molto sulla Basilicata perché abbiamo trovato una produzione agricola di qualità e un sistema cooperativo pronto ad accogliere le sfide del mercato". "Nello stabilimento lucano - ha aggiunto il presidente della Arpor, Maurizio Tortolone - nell'ultimo biennio, abbiamo già effettuato un investimento di circa 5 milioni di euro per la produzione di semilavorato nel settore del surgelato. Con queste risorse abbiamo rafforzato la capacità produttiva del sito lucano assicurando lavoro a tempo indeterminato a 15 dipendenti e l'occupazione di 150 lavoratori stagionali.

martedì 15 settembre 2009

IL GRANDE CENTRO? SIAMO NOI

Alzi la mano chi conosce qualche elettore, qualche cittadino e persona comune, che senta un irrefrenabile desiderio di avere il Grande Centro, il nuovo (mica tanto) soggetto politico al quale starebbero lavorando – si fa per dire – in parecchi, da Pierferdinando Casini a Francesco Rutelli, passando per l’immancabile Montezemolo e approdando ad alcune non meglio specificate gerarchie ecclesiastiche. Né può mancare il contorno di “ambienti imprenditoriali”, e addirittura l’interesse – smentito – di Gianfranco Fini.
Basta solo questo elenco, che periodicamente si affaccia sui giornali a corto di notizie vere, per capire quanto questo sedicente Grande Centro sia tutto tranne che possibile o anche solo probabile, uno stanco esercizio a tavolino, insomma una Grande Palla. E una volta tanto ha trovato la battuta giusta Dario Franceschini: “È la quindicesima volta dal ’94 che si annuncia la nascita del Grande Centro, dove pare importante soprattutto l’uso dell’aggettivo ‘grande’”.
Quel “Grande”, completiamo noi, ha un solo scopo: bilanciare negli annunci la reale portata dell’operazione e dei suoi esiti elettorali, che si rivelano invariabilmente piccoli. Ma, come si dice, non basta la parola per fare grande un’operazione politica che grande non è.

Da quando Silvio Berlusconi è sceso in politica, l’Italia, come ogni vera democrazia, ha adottato il bipolarismo e l’alternanza. Oltre il 90 per cento degli elettori ha sempre votato per il centrodestra o il centrosinistra, sia nel Parlamento nazionale sia nelle Regioni e nelle amministrazioni locali. Romano Prodi, tra i tanti errori che ha fatto, questo lo aveva capito, ed anche praticato, sia pure a modo suo: non c’è più spazio in politica per l’ambiguità, non c’è più spazio per un centro che vorrebbe essere grande, ma poi diventa piccolo alla prova del voto, e allora si riduce a pure operazioni mediatiche, o a vecchi rituali di potere.
Sul Corriere della Sera di oggi campeggia una vignetta illuminante. Campo di calcio: “Casini gioca al centro”; “In quale squadra?”; “Dipende dal risultato”. Con tutto il rispetto per l’Udc, la sensazione resta quella. Confermata del resto dalle trattative per le Regionali, dove il partito di Casini si propone di allearsi di volta in volta con chi offre di più e dove c’è maggior certezza di vincere.
Alla stessa maniera, se si parla di politica nazionale, il redivivo Grande Centro appare una sorta di alleanza tra transfughi, con una spruzzata di vip. Casini era nel centrodestra dove si sentiva stretto, è uscito, ha ottenuto un risultato di per sé non irrilevante ma con il quale non si governa da nessuna parte. Rutelli è stato tra i fondatori del Partito democratico, ora ci sta stretto anche lui, dunque potrebbe trasferirsi al centro. Quanto a Fini, si è affrettato a smentire subito ogni proposito centrista: scambio di idee sì, operazioni politiche no. Anche Montezemolo ha ribadito che non intende entrare in politica, men che meno in un movimento che non solo dovrebbe faticare per affermarsi, ma anche in un’area politica che da molti anni non è più nelle consuetudini e nelle priorità degli italiani. A cominciare prioprio da quelli che si sentono e sono centristi.

Del resto non è un fenomeno solo nostro. Bayrou in Francia, Kadima in Israele, la Grande Coalizione tedesca, i liberali inglesi, i vari candidati indipendenti che di volta in volta si giocano (e perdono) le primarie americane: sono tutti esempi di fughe mai riuscite dalla dialettica centrodestra-centrosinistra che governa ogni democrazia.

Tanto più in Italia, dove la tradizione, le idee ed anche i protagonisti di quello che fu il centro moderato della Dc e dei laici hanno trovato cittadinanza nel Popolo della Libertà.

· Se c’è un Grande Centro – per pluralismo di idee, per moderazione, tolleranza e rispetto dei valori di tutti – questo siamo noi.

· Stessa cosa se si parla di Grande Centro come capacità di governo all’insegna sia del pragmatismo sia dei principi, laici o cristiani che siano.

Un Grande Centro dunque c’è, ed è dimostrato anche dal fatto che alle elezioni raccoglie stabilmente oltre il 50 per cento dei voti, mentre nei sondaggi raggiunge il 60 per cento del gradimento. Quanto al suo leader, Berlusconi, siamo oltre. Visto che per quanti sforzi in negativo faccia, la sinistra non riesce fisiologicamente ad andare sotto al 25-30 per cento, e considerando le astensioni, a che cosa può aspirare il Grande Centro? Al 10? E con numeri simili pensa di poter governare?
Forse è meglio chiamare le cose per nome. Va riconosciuta a Casini una certa coerenza, in fondo il suo partito si chiama letteralmente Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro. Ma le sigle non bastano. Nella realtà, Casini si è rimesso a praticare la famosa politica dei due forni della Prima repubblica. Allora era la Dc a rivolgersi indifferentemente a destra e sinistra, ora è l’Udc ad offrirsi al PdL ed al Pd.

L’insofferenza ed il possibile strappo di Rutelli erano stati previsti per primo proprio da Berlusconi. Un percorso, anche il suo, che merita di essere visto con attenzione e rispetto, ma pur sempre un fallimento dal quale è difficile immaginare che nascano soluzioni vincenti.
Il resto – Montezemolo, la Chiesa – è pura fuffa mediatica.
Ma a fare giustizia di tutto c’è un dato di fatto. Abbiamo un governo che governa ed una maggioranza che, pur nella dialettica tra PdL e Lega, sostiene il governo, approva le riforme e vince ogni elezione. Dall’altra parte c’è una sinistra divisa, reduce da mille sconfitte, incapace di governare, che si accinge a dividersi ancora di più.
A che cosa dovrebbe servire il Grande Centro? Forse a soccorrere qualche altro naufrago della sinistra? Forse a contendere un po’ di governo al centrodestra? A tutte e due le cose? Ce lo spieghino un po’ loro, visto che hanno molta stampa a disposizione.

lunedì 14 settembre 2009

E IL CENTRO DESTRA CONTINUA A CRESCERE

L’opposizione prosegue a testa bassa nella sua offensiva mediatica, inclusiva delle fughe di notizie dalle Procure, contro Silvio Berlusconi e il suo governo, ma continua a sbattere sui sondaggi: si potrebbe parlare di distacco del Paese reale dal Paese della carta stampata.

L’ultimo sondaggio sulle intenzioni di voto, condotto dall’Osservatorio Crespi Ricerche, riportato da Affaritaliani.it, lo conferma:
- il Popolo delle Libertà, sale al 38%, un punto in più rispetto al voto di giugno;
- la Lega Nord, con l’11%, aumenta i consensi: erano al 9% in aprile e al 10% in agosto;
- l’Mpa è all’1%;
- La Destra è all’1,7%.

Complessivamente, il centrodestra si attesta al 51,7%. In sostanza, il Pdl ha il doppio del Partito democratico, fermo al 26%, come a maggio, anche se ad agosto era sceso al 25,5%: un incremento dello 0,5% che deriva da un leggero recupero rispetto alle due formazioni che stanno alla sua sinistra e che complessivamente raccolgono il 4,5%. Sostanzialmente stabile l’Idv all’8%.

Dati positivi anche sul gradimento per il presidente del Consiglio. La stima nei confronti di Berlusconi è al 59%: 4 punti in più rispetto ad agosto e 5 punti in più rispetto a luglio. Ma, secondo Euromedia Rersearch, il gradimento di Berluscoini sarebbe al 68,4%.

La fiducia degli italiani si estende anche al Governo, apprezzato dal 55% degli intervistati, con un aumento di un punto rispetto ad agosto, e quindi oltre la somma delle intenzioni di voto attribuite ai partiti della maggioranza.

Eppure in questi mesi non è mai venuta meno la violenta polemica dell’opposizione e di una parte della stampa che la fiancheggia, sia contro Berlusconi, sia contro il Governo, ma nessun sondaggio mostra una flessione del gradimento del Premier e del Governo. Eppure i quotidiani a maggiore tiratura non lesinano gli attacchi, smentendo che sia in atto un attacco alla libertà di stampa. Ciò significa che sono i media a non percepire correttamente la realtà. E l’osservazione di Berlusconi, secondo il quale in questo modo essi perdono copie e rischiano difficoltà economiche, non è una minaccia, bensì una corretta analisi di tipo imprenditoriale, oltre che politica.

Gli italiani non seguono sofisticate elucubrazioni, percepiscono il valore strumentale di certe campagne di stampa, e confrontano tutto questo con i dati reali della vita quotidiana: lo sforzo del Governo per garantire i loro risparmi, gli interventi a sostegno dell’occupazione, l’impegno con cui è stata affrontata l’emergenza del terremoto a L’Aquila, i risultati ottenuti dalle Forze di Polizia conto le organizzazioni criminali, gli effetti degli accordi con la Libia sull’immigrazione illegale, i primi segnali di ripresa economica registrati da un aumento dei consumi. Evidentemente tutto questo sfugge a certi giornali, che insistono sul gossip, nonostante il Procuratore di Bari abbia certificato che non esistono “rilievi penali per il capo del Governo”, oppure si fanno docili strumenti di amplificazione dei teoremi di alcuni magistrati.

venerdì 11 settembre 2009

PDL ANARCHICO?

Il Popolo della Libertà è un movimento anarchico? Così lo ha definito scherzosamente ieri il Presidente Berlusconi, che parlava di fronte ai giovani del PdL, precisando in seguito che si tratta di un partito liberale di massa, di un contenitore all’interno del quale vengono rispettate tutte le opinioni sui grandi temi etici per i quali normalmente viene concessa la libertà di voto in Parlamento. Qualcuno si ricorderà che un comico non certo sospetto di simpatie per il centrodestra come Corrado Guzzanti anni addietro definiva l’allora Casa delle Libertà come una casa in cui “ognuno è libero di dire quel che diavolo vuole”. Esagerazioni della satira, è vero, ma con un contenuto di verità: il PdL offre un ambiente nel quale è possibile discutere sempre liberamente e si trova un leader di partito che è pronto, per sua stessa ammissione, a farsi concavo là dove l’altro si fa convesso e viceversa. Su tutti i temi etici alla Camera e al Senato si è svolto di regola un ampio dibattito, concluso poi da quella libertà di voto che mette insieme e concilia all’interno dello stesso movimento liberale e riformista le anime più diverse. È la stessa ricetta del PdL, il suo codice genetico a garantirne la sopravvivenza in una amalgama tra cattolici e laici, tra ex democristiani ed ex socialisti, tra liberali e riformatori, tra tutte quelle anime che si ritrovano unite da un amore non generico ma profondo per la libertà contro quei movimenti di sinistra che vorrebbero limitarla e annientarla. Sotto quest’aspetto ancora una volta il Presidente Berlusconi negli ultimi giorni ha tenuto a ricordare i pericoli continui che per la libertà vengono dai comunisti e dai cattocomunisti. Anche per questi motivi il Popolo della Libertà, c’è da scommetterlo, scenderà compatto in piazza per manifestare, in ricordo dei 20 anni dalla caduta del Muro di Berlino, quell’evento epocale che segnò la fine dell’esperimento comunista costato milioni di morti in tutto il mondo e l’avvio di tutta una serie di Paesi dell’Est verso la democrazia. Per questi motivi, per difendere la libertà, per garantire il mantenimento perenne dei diritti già conquistati dai cittadini, per impedire il ritorno della sinistra con la sua oppressione fiscale e burocratica, è bene dibattere all’interno del PdL. Il dibattito è il fondamento stesso del nostro essere, quel principio e quel valore che hanno reso prima il Polo delle Libertà, poi la Casa delle Libertà, infine il Popolo della Libertà ad essere quel movimento unico in Italia che ha fatto da argine a tutti i tentativi di colpire con pesanti limitazioni della libertà personale e fiscale i nostri concittadini.
Quindi a noi tutta la libertà di pubblicare quello che vogliamo, in quanto le nostre identità sono note. Agli anonimi tutta la nostra compassione, per la viltà del loro nascondersi.

martedì 8 settembre 2009

I VELENI NON CI FERMANO

Doveva essere un altro filotto antiberlusconiano, come la campagna di pettegolezzi di inizio estate. E quindi, nel linguaggio dei giornali militanti e del Pd che si ostina ad andar loro dietro: “campagna contro il direttore di Avvenire”, ordinata naturalmente da Silvio Berlusconi in persona; “veleni su Dino Boffo”; “attacco alla Chiesa”; “rottura con il mondo cattolico”; ed infine l’immancabile stritolamento della libertà di stampa. Con ovvio codazzo di citazioni dei giornali stranieri.

Repubblica ci si è ovviamente tuffata a pesce, il Partito democratico ha seguito a ruota. Ebbene, il risultato qual è?

· E’ apparso evidente che l’inchiesta del Giornale di Vittorio Feltri non era stata ordinata da Berlusconi, ma era stata fatta in piena autonomia dal direttore del quotidiano. Chi si batte (a parole) per una sedicente libertà di stampa non dovrebbe forse apprezzare?

· Con altrettanta chiarezza è emerso che non di una “campagna di veleni” si trattava, ma di fatti documentati. Confermati da quella magistratura che la sinistra invoca sempre come totem, a meno beninteso che non vada contro i suoi interessi.

· Presto il “caso Feltri-Berlusconi” si è trasformato in quello che logicamente era, cioè in un caso Boffo.

· Dal governo, e men che meno dal premier, non è venuto alcun attacco alla Chiesa; tanto meno alla Santa Sede.

· Sono emerse piuttosto crepe e divergenze tra la direzione di Avvenire, la Cei ed il Vaticano, in particolare la Segreteria di Stato. Divergenze antiche, che nulla hanno a che fare né con il governo né con l’inchiesta di Feltri.

· Il consenso a Berlusconi dell’elettorato cattolico, che poi è ciò che realmente conta, non è stato in pratica intaccato né da questa né da altre vicende, come ha spiegato sul Corriere della Sera Renato Mannheimer.

· Questo perché gli elettori cattolici giudicano non sulle campagne di stampa o di palazzo, ma sui fatti concreti; ed il centrodestra e il suo governo sono quelli che più concretamente hanno operato nel segno della solidarietà e della difesa dei valori cristiani.

· Nessun problema neppure con la Santa Sede: come ha spiegato sempre sul Corriere un illuminante retroscena (di quelli veri) di Vittorio Messori, Papa Ratzinger ed il cardinale Bertone hanno fin dall’inizio avocato a sé i rapporti ed i giudizi sui governi, Italia in primis. Il che fa giustizia delle critiche che ogni tanto abbiamo letto sull’Avvenire e su altri organi diocesani a proposito della politica dell’immigrazione, e che la sinistra ha sbrigativamente attribuito al Vaticano. Ma il Vaticano – come abbiamo detto anche in passato – quando vuole parla con la propria voce.

· Infine la “campagna contro la libertà di stampa”. Repubblica e l’infaticabile Giuseppe D’Avanzo, e dietro di loro il Pd, avendo fallito sul gossip, pensavano di aver trovato un altro fronte. Incuranti della realtà e dell’evidenza (e cioè che la vicenda Boffo riguardava caso mai lui, la sua famiglia e le persone innocentemente coinvolte), hanno tentato un ardito capovolgimento della realtà. Individuando stavolta in Boffo il nuovo martire, e dunque la prova provata che sotto Berlusconi non c’è stampa libera. Purtroppo che si siano dimenticati che anche il Giornale ha esercitato il diritto di cronaca, per di più contro poteri non da poco. E, come i fatti hanno dimostrato, aveva ragione.

· Ma quella che in un qualsiasi paese sarebbe un’inchiesta giornalistica, per Repubblica e la sinistra è diventata “un’intimidazione”. Poniamoci la domanda: che cosa secondo loro avrebbe dovuto fare Berlusconi, ammesso che avesse potuto e voluto. Censurare Feltri? E’ questo che intendono per libertà di stampa?

· Ma la campagna settembrina del “commissario Davanzoni” non si ferma qui. Sky, la loro tv prediletta, ha intervistato ieri Noemi Letizia. Peccato che dalla conversazione non sia venuto fuori nulla, ma proprio nulla, che potesse supportare la famosa “campagna delle dieci domande” che da mesi va inutilmente in stampa sulle colonne (sempre più interne) di Repubblica. Un fiasco, l’ennesimo, dal punto di vista di D’Avanzo e del giornale di Carlo De Benedetti. E dunque come reagire? Con questo titolo: “Uno scandalo politico”, che oggi campeggia in prima pagina di Repubblica. In che cosa consiste lo scandalo? Testuale: “Il piano di battaglia del governo per l’autunno prevede una controffensiva mediatica e la cinica, brutale aggressione dei nemici”. Anche se la controffensiva va in onda su Sky. Anche se l’aggressione è solo libertà di cronaca, e come si è visto assai documentata.

· Che cosa concludere? Non c’è limite alla malafede. Arrampicarsi sugli specchi spinge al ridicolo. Qualcuno avvisi quelli del Pd: ieri Di Pietro si è presentato a sorpresa al comizio di Bersani. Pessimo auspicio per il candidato favorito alla segreteria.

domenica 6 settembre 2009

IL PDL NON E' UNA CASERMETTA


Perché il PdL non è una casermetta
Il Pdl è nato principalmente dalla fusione di due partiti "presidenziali", cioè Forza Italia e Alleanza Nazionale, il cui primo imprinting stava nel carisma e nell'autorevolezza dei rispettivi leader. Chi oggi, dunque, si meraviglia che il Pdl è un partito presidenziale, forse ha dimenticato qualche passaggio della storia recente.
Quando sentiamo dire che nel Pdl decide tutto Berlusconi, verrebbe la tentazione di rispondere: magari! Il premier ha infatti dimostrato negli anni di saper guardare sempre più avanti degli altri e di possedere un pragmatismo che nessun altro ha, nella politica italiana. Ma basta scorrere lo Statuto del partito per capire che, pur nello schema presidenzialista, ci sono ampi spazi di democrazia, a tutti i livelli. Altro che casermetta.
Non è con i facili slogan che si fotografa la vita di un partito che rappresenta la maggioranza relativa degli italiani. E poi ci permettiamo di domandare: ma cosa accade nell'Udc, o nel PD, o nei grandi partiti stranieri? La centralizzazione delle decisioni nelle mani del leader, quando un partito ha la fortuna di averlo, è ormai una caratteristica generale in questo momento politico.
L'esperienza di Forza Italia e di An continua nel PdL, senza soluzione di continuità. E a chi dice che FI è stata un partito leaderistico e carismatico, rispondiamo che sì, certamente, lo è stata. Ma Forza Italia è stata prima di tutto una grande innovazione politica, e non un partito di plastica, visto che ha messo insieme 400.000 iscritti, 50.000 dirigenti nazionali e locali, 16.000 eletti e che nel 2007 ha celebrato ben 4.500 congressi comunali. Se questa non è democrazia, cos'è, allora?
Bisogna, poi, partire da una realtà incontrovertibile: il Pdl lo ha voluto la gente. Berlusconi ha solo messo in atto quanto stava maturando da tempo nell'opinione pubblica.
Prima del discorso del "predellino" c'erano stati grandi eventi come la manifestazione del 2 dicembre 2006 a piazza San Giovanni e, comune per comune, la mobilitazione unitaria di un'opinione pubblica moderata nell'animo, ma affamata di riforme liberali. Altro che comiche finali, come qualcuno aveva predetto.
Il Pdl è nato per rispondere a questo desiderio di novità, che fra i cittadini è maggioritario. Solo l'establishment è sordo. Gli intellettuali, i media, certi politici non hanno ancora capito. Non si sono ancora messi a studiare questo cambiamento. Certi commenti sono ancora liquidatori. Certe osservazioni sono sterilmente supponenti, segnate da una fondamentale incomprensione. Il popolo, i cittadini, sono molto più avanti. Vogliono la grande semplificazione politica. Vogliono il bipartitismo. Vogliono sapere chi comanda nel Paese e vogliono che chi comanda il Paese, lo migliori.

E chi parlava del Pdl come di una deriva plebiscitaria e avventuristica, dovrà presto rendersi conto che quella era solo una polemica strumentale.

· Il Pdl è nato infatti nel modo più democratico possibile, cioè dal basso, e non attraverso una fusione fredda tra partiti com´è avvenuto, invece, al Pd.

· Il Pdl è un partito liberale di massa, si è formato sul ceppo di Forza Italia, dal patto con la Destra moderna e post-ideologica incarnata da Alleanza Nazionale ed è nato dall’incontro della politica con la società civile.

· È stato, insomma, la risposta più limpida al predominio delle oligarchie e della vecchia politica.

· Il Pdl, dunque, è la forma politica del superamento delle vecchie barriere, è lo strumento del popolo che impone la legge della modernità e inchioda la politica alle sue responsabilità.

· Il Popolo della Libertà è il partito del rinnovamento e delle riforme. Un partito che si ispira ai valori del Partito Popolare Europeo e che fonde le vecchie identità senza annullarle.

“Supereremo le vecchie categorie e i vecchi schemi della politica politicante, al pari di espressioni come ‘destra’, ‘centro’ e ‘sinistra’”. Con queste parole Berlusconi parlò della nascita del Pdl in un messaggio inviato all'assemblea dei Cristiano-popolari, dando esattamente l'idea di quanto il nuovo partito avrebbe modernizzato il modo di fare politica nel nostro Paese.

Il Pdl è destinato dunque a uscire dalle categorie tradizionali del Novecento per esprimere, attraverso un'identità precisa e forte, un moderatismo coraggioso e riformista. Il partito della responsabilità e del merito.

Soprattutto, però, il Pdl è il partito che porterà al superamento di quella frammentazione e di quei personalismi che sono stati tra i mali peggiori della vecchia politica, malata di compromessi sempre al ribasso e di instabilità e dunque priva di credibilità. Per questo, il Pdl punta a superare i vecchi schemi ed è nato con la missione di tradurre in azione di governo il meglio del pensiero liberale.

Ma l'altro compito del nuovo partito è quello di innovare le istituzioni con quella Grande Riforma di cui l'Italia ha bisogno da almeno vent'anni e che si è sempre arenata nelle secche di una politica incapace di decidere. Certo, è il partito del leader, come avviene in tutte le democrazie moderne, dove il leader del partito vincente diventa il premier, e specialmente in questo momento particolare in cui il massimo del riformismo si esprime per forza di cose nell'azione di governo.
Ultima annotazione. Le elezioni dell’anno scorso hanno testimoniato un fortissimo radicamento del Pdl sul territorio.

· La concentrazione dell’attenzione sulla personalità e sul carisma del leader è stato lo strumento che ha consentito di creare un partito a effettiva vocazione maggioritaria.

Non molti anni fa Forza Italia segnava un divario strutturale tra le consultazioni nelle quali era coinvolto direttamente Berlusconi e quelle nelle quali non si votava sul suo nome. Alla prima prova come partito, il Popolo della libertà sembra aver superato questo divario, perché il Pdl è andato meglio alle amministrative che alle europee.
I critici, allora, non si sono resi conto del senso dell’operazione politica costituita dalla costruzione di una forza politica che ha l’ambizione di sopravvivere al suo fondatore mantenendo la funzione di partito di riferimento del popolo moderato. Ma accade spesso che mentre il saggio indica la luna, lo sciocco si fermi ad osservare il dito.