Alzi la mano chi conosce qualche elettore, qualche cittadino e persona comune, che senta un irrefrenabile desiderio di avere il Grande Centro, il nuovo (mica tanto) soggetto politico al quale starebbero lavorando – si fa per dire – in parecchi, da Pierferdinando Casini a Francesco Rutelli, passando per l’immancabile Montezemolo e approdando ad alcune non meglio specificate gerarchie ecclesiastiche. Né può mancare il contorno di “ambienti imprenditoriali”, e addirittura l’interesse – smentito – di Gianfranco Fini.
Basta solo questo elenco, che periodicamente si affaccia sui giornali a corto di notizie vere, per capire quanto questo sedicente Grande Centro sia tutto tranne che possibile o anche solo probabile, uno stanco esercizio a tavolino, insomma una Grande Palla. E una volta tanto ha trovato la battuta giusta Dario Franceschini: “È la quindicesima volta dal ’94 che si annuncia la nascita del Grande Centro, dove pare importante soprattutto l’uso dell’aggettivo ‘grande’”.
Quel “Grande”, completiamo noi, ha un solo scopo: bilanciare negli annunci la reale portata dell’operazione e dei suoi esiti elettorali, che si rivelano invariabilmente piccoli. Ma, come si dice, non basta la parola per fare grande un’operazione politica che grande non è.
Da quando Silvio Berlusconi è sceso in politica, l’Italia, come ogni vera democrazia, ha adottato il bipolarismo e l’alternanza. Oltre il 90 per cento degli elettori ha sempre votato per il centrodestra o il centrosinistra, sia nel Parlamento nazionale sia nelle Regioni e nelle amministrazioni locali. Romano Prodi, tra i tanti errori che ha fatto, questo lo aveva capito, ed anche praticato, sia pure a modo suo: non c’è più spazio in politica per l’ambiguità, non c’è più spazio per un centro che vorrebbe essere grande, ma poi diventa piccolo alla prova del voto, e allora si riduce a pure operazioni mediatiche, o a vecchi rituali di potere.
Sul Corriere della Sera di oggi campeggia una vignetta illuminante. Campo di calcio: “Casini gioca al centro”; “In quale squadra?”; “Dipende dal risultato”. Con tutto il rispetto per l’Udc, la sensazione resta quella. Confermata del resto dalle trattative per le Regionali, dove il partito di Casini si propone di allearsi di volta in volta con chi offre di più e dove c’è maggior certezza di vincere.
Alla stessa maniera, se si parla di politica nazionale, il redivivo Grande Centro appare una sorta di alleanza tra transfughi, con una spruzzata di vip. Casini era nel centrodestra dove si sentiva stretto, è uscito, ha ottenuto un risultato di per sé non irrilevante ma con il quale non si governa da nessuna parte. Rutelli è stato tra i fondatori del Partito democratico, ora ci sta stretto anche lui, dunque potrebbe trasferirsi al centro. Quanto a Fini, si è affrettato a smentire subito ogni proposito centrista: scambio di idee sì, operazioni politiche no. Anche Montezemolo ha ribadito che non intende entrare in politica, men che meno in un movimento che non solo dovrebbe faticare per affermarsi, ma anche in un’area politica che da molti anni non è più nelle consuetudini e nelle priorità degli italiani. A cominciare prioprio da quelli che si sentono e sono centristi.
Del resto non è un fenomeno solo nostro. Bayrou in Francia, Kadima in Israele, la Grande Coalizione tedesca, i liberali inglesi, i vari candidati indipendenti che di volta in volta si giocano (e perdono) le primarie americane: sono tutti esempi di fughe mai riuscite dalla dialettica centrodestra-centrosinistra che governa ogni democrazia.
Tanto più in Italia, dove la tradizione, le idee ed anche i protagonisti di quello che fu il centro moderato della Dc e dei laici hanno trovato cittadinanza nel Popolo della Libertà.
· Se c’è un Grande Centro – per pluralismo di idee, per moderazione, tolleranza e rispetto dei valori di tutti – questo siamo noi.
· Stessa cosa se si parla di Grande Centro come capacità di governo all’insegna sia del pragmatismo sia dei principi, laici o cristiani che siano.
Un Grande Centro dunque c’è, ed è dimostrato anche dal fatto che alle elezioni raccoglie stabilmente oltre il 50 per cento dei voti, mentre nei sondaggi raggiunge il 60 per cento del gradimento. Quanto al suo leader, Berlusconi, siamo oltre. Visto che per quanti sforzi in negativo faccia, la sinistra non riesce fisiologicamente ad andare sotto al 25-30 per cento, e considerando le astensioni, a che cosa può aspirare il Grande Centro? Al 10? E con numeri simili pensa di poter governare?
Forse è meglio chiamare le cose per nome. Va riconosciuta a Casini una certa coerenza, in fondo il suo partito si chiama letteralmente Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro. Ma le sigle non bastano. Nella realtà, Casini si è rimesso a praticare la famosa politica dei due forni della Prima repubblica. Allora era la Dc a rivolgersi indifferentemente a destra e sinistra, ora è l’Udc ad offrirsi al PdL ed al Pd.
L’insofferenza ed il possibile strappo di Rutelli erano stati previsti per primo proprio da Berlusconi. Un percorso, anche il suo, che merita di essere visto con attenzione e rispetto, ma pur sempre un fallimento dal quale è difficile immaginare che nascano soluzioni vincenti.
Il resto – Montezemolo, la Chiesa – è pura fuffa mediatica.
Ma a fare giustizia di tutto c’è un dato di fatto. Abbiamo un governo che governa ed una maggioranza che, pur nella dialettica tra PdL e Lega, sostiene il governo, approva le riforme e vince ogni elezione. Dall’altra parte c’è una sinistra divisa, reduce da mille sconfitte, incapace di governare, che si accinge a dividersi ancora di più.
A che cosa dovrebbe servire il Grande Centro? Forse a soccorrere qualche altro naufrago della sinistra? Forse a contendere un po’ di governo al centrodestra? A tutte e due le cose? Ce lo spieghino un po’ loro, visto che hanno molta stampa a disposizione.
martedì 15 settembre 2009
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2 commenti:
Bene, ordunque viva Berlusconi, siamo tutti con lui. Viva l'omnipresente e l'omnipotente
Ma infatti, impossibile riprendere un discorso politico di CENTRO, almeno in Italia. La Democrazia Cristiana, glorioso partito politico, aveva già da un pezzo esaurito la sua carica per cosi' dire ''rivoluzionaria” interclassista. Gli stessi Dossetti, De Gasperi, La Pira, Tambroni, Fanfani, Moro e persino De Mita avevano intuito questo, consapevoli del fatto che prima o poi i vecchi amici si sarebbero ritrovati o da una parte o dall’altra cosi come accadeva in europa e oltre oceano.
Liberali da una parte, Democratici dall’altra (tranne qualche vecchio mausoleo leninista come D’Alema che il buon Craxi giudicò inutile).
In altre parole era questo il destino della nostra Italia.
E bene ha fatto Franceschini a criticare queste scelte CASINIste. Il grande centro che in termini numericamente politici riporta sempre il 4 – 5,5 % non serve. Non destabilizza (o stabilizza) nessuna maggioranza di governo. Non è di utilità al nostro popolo.
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