Un film già visto. Una “rivolta del passato”, del genere di quelle ordite nei regimi in transizione tra forme diverse di organizzazione politica per convogliare verso la rivincita delle vecchie oligarchie il consenso popolare che fa’ loro difetto. La sentenza della Corte costituzionale doveva essere la prima cannonata della reazione, volta alla restaurazione del decrepito assetto di potere. Per meravigliosa coincidenza, sono ricomparsi in sincrono perfino gruppetti incaricati di oltraggiare pubblicamente il capo del governo. Volenterosi replicanti dei lanciatori di monetine che segnarono l’inizio della rimozione di Bettino Craxi.
A quel tempo era Craxi l’ostacolo di turno al ripristino dell’egemonia della sinistra di scuola comunista, come sempre in combutta con i poteri parassitari delle feudalità del denaro e della sovranità parcellizzata. Adesso tocca a Berlusconi, in quanto ostacolo di turno, subire l’urto della “rivolta del passato”. La sentenza della Consulta può essere commentata in molti modi, diversi tra loro. Ma comunque la si consideri, presenta, incontrovertibile, la caratteristica di un trappolone ordito con l’evidente scopo di far deragliare l’iniziativa legislativa del lodo Alfano sul binario morto della legge ordinaria. Un “bellissimo inganno” ai danni della maggioranza parlamentare e dello stesso presidente della Repubblica. Il quale è stato indotto ad avallare, come esaustivi, i criteri enunciati dalla Corte nel 2004 per “costituzionalizzare” lo scudo di salvaguardia dei vertici dello Stato, occultandone il requisito principale, cioè la forma di legge costituzionale da dare al provvedimento. L’anello di congiunzione tra i due momenti dell’operazione è plasticamente rappresentato dall’attuale presidente della Corte, già relatore del precedente lodo, bocciato nel 2004.
Tutto si tiene. Con modalità diverse, si persegue un unico scopo: quello di annientare il suffragio universale quale via regia alla formazione del governo. Poiché questa sinistra è “strutturalmente minoritaria” nella società italiana, occorre che il principio maggioritario sia annientato in quanto fonte di legittimazione del governo. Aspettando di tornare al proporzionale, sempre caro ai maneggi dei cacicchi partitici e dei loro referenti in guanti gialli, occorre demolire la figura del vincitore della competizione elettorale, e lo stesso valore della decisione popolare.
Non è un caso se giuristi e giornalisti legati ai cacicchi riesumano a gara la vecchia cretinata d’autore del referendum indetto da Ponzio Pilato, che portò, a furor di popolo, alla liberazione del brigante Barabba e alla crocifissione di Gesù. Raffronto demenziale: è solo in quanto Gesù è figlio di Dio, che possiamo deplorare quella decisione presa a maggioranza. Ma Gesù non è parte in causa nelle competizioni della democrazia maggioritaria. Il senso di questo attacco al suffragio universale è evidentemente quello di svalutare la decisione maggioritaria in favore di Berlusconi, il nuovo Barabba. Se non bastasse, la trasmissione di Santoro ha cominciato a rendere esplicito il tentativo di presentare Berlusconi come il beniamino della mafia. Portato a palazzo Chigi dalle stragi di mafia del ’92, più che dal consenso elettorale.
E’ in rapporto a questo contesto che si colloca la reazione di Berlusconi al colpo di cannone di una guerra civile virtuale, partito dalla Consulta. Alzando la voce contro il tentativo oltraggioso di infangare la sua figura per classificarne la rimozione tra le operazioni di nettezza urbana, Berlusconi ha fatto intendere agli elettori che il paese è in emergenza democratica e che il premier da loro scelto ha la volontà di sventare la minaccia degli eterni ribaltonisti. E’ dal loro consenso e dalla coesione della maggioranza di centrodestra, che attinge la forza per riuscirci.
domenica 11 ottobre 2009
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