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martedì 3 agosto 2010

LA STORIA DEL PDL NON FINISCE QUI ! di Maurizio Morabito

E’ ovviamente difficile seguire il turbinio di dichiarazioni e controdichiarazioni che provengono in queste settimane dal PdL. Sembra non passare giorno senza che qualcuno, compiaciuto o meno, annunci la fine dell’esperimento politico inaugurato con la Convention di Roma del Marzo 2009, mentre dall’altro lato si sentono i mormorii soddisfatti di un’opposizione che non vedrebbe l’ora di veder implodere il lavoro di Silvio Berlusconi, misteriosamente ignara del fatto che non esistendo alcuna alternativa seria toccherebbe all’Italia un periodo particolarmente buio e difficile.
Diciamoci allora: davvero stanno per suonare le campane a lutto per il Popolo della Libertà, è vicino il capolinea, buonanotte suonatori, e l’ultimo chiuda la porta! Anzi, no. Chiediamoci invece: i cambiamenti che tutti sanno essere necessari a livello economico e sociale, possono davvero essere raggiunti da soporosi gruppi di persone categoricamente sempre d’accordo su tutto (leggi, il PD) o succubi al Leader su tutto (leggi, l’IdV)? E dunque: e se tutti i segnali di sconvolgimento dall’interno del PdL non fossero altro che la prova che il PdL stesso sia un partito (anche troppo!) vitale, e che si trovi alla vigilia di una fase di sviluppo e capacità di riforma davvero fuori dal comune per un Paese come l’Italia?
E' proprio questo, dopotutto, che viene indicato dalle teorie di psicologia sociale. In particolare quanto sta accadendo ricorda molto da vicino il modello di evoluzione della vita di gruppo proposto nel 1965 dall’americano Bruce Tuckman, sulla base della sua esperienza come psicologo nella Marina degli Stati Uniti, modello successivamente modificato fino a includere cinque stadi di sviluppo:
1. Formazione (forming)2. Conflitto (storming)3. Strutturazione (norming)4. Attività (performing)5. Trasformazione (transforming)
Cosa significano i vari stadi? Inizialmente (la “formazione”), il gruppo viene creato dalla volontà in tal senso dei suoi membri. Non vengono quindi discussi gli argomenti più scottanti, ma ci si concentra sullo stabilire i meccanismi e le regole necessarie al funzionamento del gruppo stesso. Questo è il periodo più tranquillo, del “volemose bene”, e anche se non vengono ottenuti molti risultati pratici, i partecipanti hanno l’occasione di conoscersi meglio l’un l’altro.
A un certo punto però i nodi arrivano al pettine e si passa al “conflitto”. Quali sono le priorita’? Come verranno coordinate? Come potranno essere riconciliati aspetti e prospettive individuali a tutta prima inconciliabili? Come reagiranno i vari membri alle situazioni difficili? Questo è il periodo meno tranquillo, quando la tolleranza, il rispetto e la pazienza reciproci sono messi a durissima prova. C’e’ chi si vuole allontanare, altri che vogliono allontanare, ogni tanto qualcuno inspiegabilmente sembra impegnarsi a distruggere tutto e tutti.
Alcuni gruppi non sopravvivono allo stadio del “conflitto”, ma secondo Tuckman non è possibile lavorare insieme in maniera efficiente e fattiva senza passare per questo stadio: anzi, un eccessivo uso della diplomazia a questo punto può risultare, paradossalmente, nell’autodistruzione del gruppo stesso. Il gruppo che invece sopravvive si trova poi nell’invidiabile situazione di avere finalmente individuato un unico e chiaro scopo comune, a cui tutti cominciano a lavorare in maniera responsabile per il successo di tutti (la "strutturazione"). Si può quindi passare alle "attività", dove i problemi vengono risolti praticamente senza più conflitto interno, e dunque alla "trasformazione", incidendo in maniera efficace e significativa sul mondo.
Non si tratta di idee campate in aria, visto che sono applicate (ed esperite!) da 45 anni con poche modifiche. E se è vero che Tuckman pensava a gruppi piccoli, è anche vero che i meccanismi della politica italiana significano che in un partito come il PdL la dinamica più appropriata da osservare è quella fra la manciata di personalità di spicco. A che punto siamo dunque, secondo il modello di Tuckman? Più o meno dall’autunno 2009, il PdL è ovviamente entrato nella fase del conflitto: il che vuole anche dire che la struttura di partenza è stata messa insieme con una rapidità straordinaria. Comunque, c’e’ poco di che lamentarsi nell’attuale tempesta, che anzi deve essere la benvenuta: il PdL sta attraversando uno sviluppo ma assolutamente naturale, dietro il quale non esiste altra regia che quella della natura umana.
Il rischio è che il partito scompaia da un giorno all’altro, semmai le “corde” vengano troppo tirate, o le parole risultino troppo forti, o le dichiarazioni di mutua inimicizia diventino troppo roboanti. Ma questo è il prezzo da pagare per un “rischio” ben piu’ grande e positivo, quello di diventare come PdL quel gruppo di riformatori, liberalizzatori e modernizzatori che tutti aspiriamo essere. A questo punto, è solo una questione di tempo…

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