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lunedì 9 agosto 2010

IL BOOMERANG DI AN di Mario Sechi

Se la contessa Colleoni fosse viva, dopo aver letto la nota di Gianfranco Fini sulla casa di Montecarlo avrebbe esclamato: «Siamo alle comiche finali». È la frase che il leader di Alleanza nazionale riservò alla svolta del predellino di Silvio Berlusconi e all’idea di fondare un nuovo partito del centrodestra italiano. La vicenda dell’appartamento di An nel Principato passerà alla storia nel guinness dei fiaschi politici.
Ho letto con attenzione la nota del Presidente della Camera e, francamente, stento ancora a credere ai miei occhi. Non so chi abbia consigliato Fini, ma raramente mi è capitato di vedere qualcosa di più politicamente disastroso. Un boomerang. Fini offre una ricostruzione e una serie di valutazioni sulla vicenda che non diradano alcuna ombra e, semmai, creano un imbarazzo istituzionale senza precedenti. Cercherò di procedere con un certo ordine nel disordine totale con cui è stata presentata da Fini la vicenda. Chiedo ai lettori di avere la pazienza di seguirmi, ne vale la pena.
1.La stima dell’appartamento. Fini spiega che fu iscritto a bilancio per la somma di 450 milioni di lire. Non indica la data di carico, ma è certamente da collocare prima dell’adozione dell’euro. Dunque la valutazione dell’immobile, per quel che ne sappiamo, è di un’era geologica fa e non tiene conto dei valori espressi dal mercato con la moneta unica. Anche i sassi sanno che quei valori in Europa sono praticamente raddoppiati subito dopo l’avvento dell’euro.
2.Lo stato dell’appartamento. Fini cita le visite fatte dall’onorevole La Morte e dalla sua segretaria, la signora Marino. Dimentica quelle più che ufficiali fatte per conto del partito dal suo tesoriere, Francesco Pontone e dal senatore Antonino Caruso. Quest’ultimo, intervistato ieri da Il Tempo, spiega che «è una casa in una palazzina d’epoca, un appartamento al piano rialzato, verso l’interno ha una piccola loggia molto graziosa. Una casa gradevole nel centro di Montecarlo. Cinque minuti a piedi dal casinò».
«Un tempo era un albergo, il Shakespeare Milton». Fatiscente? Per chi? E da quando in qua le valutazioni immobiliari si fanno fare alla segretaria personale?
3. Le offerte per l’acquisto. Fini dice che non vi era alcuna offerta alternativa. Il senatore Caruso racconta un’altra storia: An aveva la possibilità di vendere quell’appartamento per una valutazione pari a 6 milioni di franchi, pari a circa un milione di euro con il cambio dell’epoca, dunque senza rivalutazione. Caruso informò Pontone, il quale rispose che la casa in quel momento non era in vendita.
4. Il ruolo di Giancarlo Tulliani.Fini svela che fu il fratello di Elisabetta a mettere in contatto i compratori della casa con il partito. È un passaggio delicatissimo che non avrei mai voluto leggere e che apre scenari imprevedibili. La prima cosa che avrei fatto al posto di Fini è chiedermi: chi compra? E per quale scopo? Il lascito della contessa Colleoni non era nella disponibilità personale di Fini, ma in quella collettiva di An. Perché il fratello della Tulliani si interessa alla casa? E chi lo ha informato dell’esistenza di quel bene nel bilancio del partito? Sono domande alle quali per ora non c’è alcuna risposta e lo stesso Fini pare non essersele poste.
5. Il prezzo della vendita. Fini spiega che era un buon affare perché l’offerta era di trecentomila euro. Facciamo un po’ di conti. La casa era iscritta a bilancio per 450 milioni di lire, cioè circa 230 mila euro. L’iscrizione a bilancio è priva di rivalutazione e An si accontenta di un guadagno pari a 70 mila euro. Chiunque possiede un bene immobile con il passaggio all’euro ha rivalutato il valore del cespite. Se non lo fa, è come minimo un incapace. La vendita della casa a Montecarlo non è un buon affare, è un disastro economico e non credo sia frutto della volontà del tesoriere Francesco Pontone.
6. L’eredità Colleoni.Fini spiega le successive alienazioni dell’eredità Colleoni. Non aggiunge niente di nuovo, ma in realtà c’è un elemento politicamente spesso: fa una chiamata di correo per gli altri dirigenti del partito che non si sono opposti alla cessione degli immobili. Vedremo cosa risponderanno gli ex parlamentari di An. Faccio solo notare che il tesoriere Pontone ha sempre detto: «Rispondo al Presidente e tanto basta». Non è mai emersa una gestione collettiva del patrimonio, del bilancio. La gestione di An era riconducibile a tre persone: Gianfranco Fini, Francesco Pontone e Donato Lamorte.
7. I paradisi fiscali. Fini dice di non sapere nulla sulla "natura giuridica della società acquirente". Chiunque vende un bene - e Pontone vendeva grazie a una procura generale firmata da Fini - prende due o tre informazioni sul compratore. Lui no. La casa di Montecarlo viene ceduta a una società off-shore, con sede nel paradiso fiscale delle Piccole Antille. Passa poi ad un’altra società off-shore e infine, magicamente, diventa l’abitazione monegasca in affitto di Giancarlo Tulliani. Visto che non c’è la risposta, ripetiamo la domanda: chi c’è dietro queste società?
8. Il cognato in affitto. È la parte più incredibile della nota di Fini. In sostanza, il presidente della Camera dice di aver saputo dalla Tulliani, «qualche tempo dopo» che «il fratello Giancarlo aveva in locazione l’appartamento». Chiosa finiana: «La mia sorpresa e il disappunto sono facilmente intuibili». Sorpresa? Disappunto? I lettori a questo punto si chiedono ben altro: quando ha saputo Fini del cognato in affitto? Non si è chiesto Fini come mai il cognato prima si faccia parte diligente per vendere la casa a Montecarlo e poi ne diventi l’affittuario? Perché Fini non ha sollevato il telefono e invitato Tulliani a levare il disturbo da una casa che era parte del patrimonio di An e dunque poteva mettere in grave imbarazzo il Presidente della Camera?
Non siamo di fronte a un problema di «legalità». La politica - e Fini lo sa meglio di tutti - non è tutta riconducibile al codice civile e penale. Questa storia mostra ben altro. Politicamente, Fini è nei guai.

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