MANTOVANI: Vi spiego il "Piano casa"
Ti proponiamo l’intervista rilasciata dal senatore del Pdl e sottosegretario Mario Mantovani al settimanale Famiglia Cristiana nel numero del 15 febbraio 2009.
Ti proponiamo l’intervista rilasciata dal senatore del Pdl e sottosegretario Mario Mantovani al settimanale Famiglia Cristiana nel numero del 15 febbraio 2009.
Il premier Silvio Berlusconi sogna di vedere tante Milano 2 sparse per l’Italia: cittadine, come quella da lui costruita negli anni ’70 alle porte di Milano, costituite da case con pochi piani, immerse nel verde, ma fornite di tutti i servizi. Un paradiso, se paragonato agli orrendi casermoni che deturpano le periferie delle grandi città. Per realizzarlo, il Governo ha varato un nuovo Piano casa, attualmente in discussione in Parlamento. Obiettivo: costruire almeno 20 mila alloggi in edilizia convenzionata entro due anni (100 mila entro il 2013), che saranno finanziati da un maxifondo immobiliare a cui parteciperanno il Governo (con un impegno iniziale di circa 150 milioni di euro), fondazioni bancarie e altri soggetti privati (con 250 milioni) e la Cassa depositi e prestiti (con 600 milioni). "La Francia realizza 50 mila alloggi popolari all’anno. Da noi le Regioni riescono a costruirne meno di 2 mila», spiega il sottosegretario alla Casa, il senatore Mario Mantovani. «Si è accumulata una richiesta impressionante di nuove abitazioni. Occorreva una svolta". In queste New Town (nuove città), come le ha battezzate il premier, abiteranno nuclei familiari e giovani coppie a basso reddito, anziani in condizioni economiche svantaggiate, studenti fuori sede, persone sottoposte a procedure di sfratto, immigrati regolari residenti in Italia da almeno dieci anni (cinque se nella stessa Regione). Sul perché di questa incomprensibile distinzione, il sottosegretario risponde con un sorriso che non è difficile interpretare: è un pegno che il Governo ha dovuto pagare alla Lega Nord. Senatore Mantovani, come funzionerà il maxifondo? "Chiunque sia proprietario di un terreno, anche non a uso abitativo, dove pensa di poter costruire un condominio, potrà presentare un progetto al proprio Comune. Se sarà approvato, sarà vagliato dalla Regione e infine dai gestori del fondo: se risponderà a requisiti "sociali", come l’accessibilità del prezzo di acquisto e la determinazione di una quota di alloggi da affittare a canoni agevolati, riceverà i finanziamenti. In più il piano prevede particolari agevolazioni fiscali e amministrative per le cooperative edilizie". Quindi il Piano mira anche ad allargare il bacino dei proprietari? "Sì, l’idea è di proporre dei mutui con rate inferiori agli attuali canoni d’affitto. Sempre in quest’ottica, abbiamo invitato gli istituti che gestiscono le case popolari già esistenti a metterle sul mercato, per permettere agli inquilini di riscattare gli alloggi in cui vivono. Il ricavato di queste vendite sarà a sua volta investito in altre opere di edilizia pubblica. È anche un modo per combattere il degrado: oggi quando si rompe un campanello, non si fa nulla aspettando, magari per mesi, l’intervento dello Stato, che così divora risorse in spese di manutenzione. Se, invece, l’appartamento è tuo, sarà tua preoccupazione provvedere anche al suo decoro". Che fine faranno quindi gli istituti che gestiscono le case popolari? "Ci sarà sempre una fetta di popolazione che, per quanto limitata, non potrà accedere ai canoni o ai mutui previsti per le nuove case e quindi continuerà ad abitare negli alloggi gestiti da questi istituti". Come hanno reagito i Comuni al Piano del Governo? "Benissimo, perché sono loro i primi ad avere a che fare con le lamentele dei cittadini. Il fatto di poter dare subito il via libera a un progetto, anche magari in deroga al loro piano regolatore, consente di velocizzare le procedure. La possibilità di utilizzare anche terreni non a uso abitativo consentirà, inoltre, di abbattere notevolmente i costi di costruzione". E le Regioni? Mantengono solo il controllo urbanistico, quello sugli istituti che gestiscono le case popolari e il potere di decidere sui vincoli paesaggistici e ambientali. Di fatto, quindi, vengono esautorate dalle loro competenze in materia di edilizia pubblica, dato che l’ultima parola sui finanziamenti spetterà al Governo… "In effetti, hanno reagito male. Tranne la Lombardia, tutte le altre hanno fatto ricorso alla Corte costituzionale". Non è paradossale che mentre tutti parlano di federalismo su un settore strategico come la casa il Governo adotti una politica centralista? "Rispondo con un semplice dato. La Cassa depositi e prestiti custodisce circa un miliardo e 650 milioni di euro provenienti dai fondi ex Gescal che le Regioni avrebbero dovuto utilizzare per costruire nuove abitazioni popolari: sono fermi da dieci anni".
1 commento:
Il cd. "Piano Casa", così come riportato nell'articolo è veramente degno di considerazione, veicolato verso una logica in cui vengono effettivamente considerate le esigenze dei cittadini. Propone una vera soluzione, non demagogica, che tende a risolvere un problema che ogni amministratore propone solo in campagna elettorale. Un tetto sulla testa rappresenta una sicurezza di non poco conto per un nucleo familiare, oltre ad essere una aspettativa che lo Stato dovrebbe costituzionalmente favorire, prima ancora nei riguardi dei propri cittadini. Oltre a poter esser un volano per l'attuale economia, è anche un segnale di buona amministrazione, poiché rivolto a beneficio di coloro che appartengono ad una fascia reddituale bassa. Gli inquilini delle case popolari avranno cura dei loro immobili certamente meglio dei rispettivi comuni. Con un notevole risparmio dello Stato che non solo avrà meno problemi sulle questioni afferenti alla casa e agli sfratti, potrà occupare diversamente l'esercito di dipendenti impegnato nella gestione del patrimonio pubblico con scarsi risultati; potrà convogliare le esigue somme a disposizione verso altre esigenze pubbliche. Gli inquilini pubblici sicuramente investirebbero ancora di più sugli immobili che sentono loro, facendo quei lavori necessari per adeguarli sempre di più alle esigenze del proprio nucleo. I comuni per lo più , specie quando versano in crisi come quella attuale, non dovrebbero avere posizioni egemoniche verso i propri cittadini, anzi dovrebbero tendere a fare cassa non sulle contravvenzioni od altri strumenti vessatori, ricorrendo sempre alle solite giustificazioni di prevenzione, ma vendendo quelle proprietà in favore dei cittadini più deboli, non svendendo il proprio patrimonio (quello non residenziale) spesso a favore di imprenditori o lobby che tendono solo a lucrare, e non per interessi collettivi.-
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