Chi oggi parla di fogna
offende la tradizione di sinistra
Annunciando l'ennesima manifestazione autunnale contro il Caimano, che storicamente si sono rivoltate tutte contro la nomenklatura postcomunista (basti ricordare l'anatema di Nanni Moretti in piazza Navona), Bersani ha preso l'ascensore per scendere nei bassifondi della nobiltà politica definendo "una fogna" la politica espressa dal capo del governo. Offendendo così, ovviamente, non solo Berlusconi, che degli insulti di Bersani sinceramente se ne infischia, ma anche tutti gli elettori che da sedici anni assicurano fiducia e apprezzamento per il presidente del consiglio. Per carità, possiamo riconoscere al segretario democratico qualche flebile attenuante, ad esempio quella di essersi innervosito dopo che il rampante sindaco di Firenze Renzi ha imbracciato il piccone, anzi il mitra, per dire una scomoda verità, e cioè che finché il Pd non rottamerà la classe dirigente che succede a se stessa ormai da trent'anni, e di cui Bersani è il re Travicello pro tempore, il centrosinistra non vincerà mai le elezioni.
Sarà per questa intima e inconfessabile convinzione che lui e il suo sponsor D'Alema ieri, da due diversi pulpiti, hanno cannoneggiato a parole e parolacce il quartier generale berlusconiano, nel sinergico intento di arrivare al più presto all'agognato obiettivo: mandare a casa il presidente del consiglio attraverso un governo di salute pubblica che scongiuri le elezioni anticipate. Sì, perché c'è una sola cosa al mondo che i dirigenti democratici temono (e odiano) più di Berlusconi: la volontà popolare.
E allora l'avanti popolo per una "nuova riscossa italiana" scandito ieri da Bersani rispolverando qualche parola del vecchio inno comunista suona molto beffardo, perché in realtà lui il popolo lo vuole soltanto usare senza consultarlo.
E il "rischio molto forte" di cui parla ("perché Berlusconi ha ancora molta forza, consenso e potere") altro non è che il rischio per la sua poltrona di segretario, che verrebbe spazzata via in caso di elezioni, e non certo per la democrazia, visto che la forza di Berlusconi è radicata nel consenso popolare.
A pensarci bene, il ragionamento bersaniano è quantomeno contraddittorio: lancia l'invito alla vigilanza "perché non si diano via pezzi di democrazia senza accorgercene", e lavora da mesi per sostituire il governo scelto dal popolo con una soluzione oligarchica orchestrata da un giochino di Palazzo.
L'esecutivo che ha in mente Bersani nascerebbe infatti su un presupposto profondamente antidemocratico, essendo aperto a tutti meno che al partito che ha vinto tutte le ultime elezioni da due anni a questa parte.
Lo schema resta quello classico della sinistra leninista, secondo cui in democrazia il voto popolare non conta, conta soltanto la volontà di una ristretta élite che ha la facoltà - a differenza del popolo - di discernere il bene e il male e di guidare le masse nella giusta direzione al di là, appunto, della loro stessa espressione di voto. Disprezzo della volontà popolare, delegittimazione sistematica dell'avversario politico e attitudine alla menzogna sono sempre stati i capisaldi del comunismo. Come ha ammesso D'Alema nel suo libro "L'ultima volta a Mosca" ricordando la sua partecipazione al funerale di Andropov insieme all'allora segretario del Pci Enrico Berlinguer.
Il quale lo prese da parte, dopo un piccolo incidente diplomatico sulla corona di fiori portata dal Pci, e gli disse: "Vedi, questa è la prima legge generale del socialismo reale. I dirigenti mentono, sempre, anche quando non sarebbe necessario". Ora che il comunismo non esiste più, ma che i dirigenti comunisti italiani sono rimasti tutti al loro posto, c'è stata evidentemente una piccola mutazione genetica, naturalmente in peggio: non si limitano a mentire, insultano.
sabato 4 settembre 2010
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